Arriva un momento in cui il campione, il pilota, decide di dire “basta”. Andrea Bertolini, pilota ufficiale di Ferrari, ha deciso di smettere con le corse. Lo ha annunciato a Monza, in occasione del secondo appuntamento del GT World Challenge Europe – Endurance Cup, in una conferenza stampa dove giornalisti, fotografi, uomini della comunicazione e lo stesso Stephane Ratel (patron della SRO) lo hanno salutato e applaudito. Era la sua 309esima gara e ha chiuso al quarto posto nella Bronze Cup, sfiorando il podio sul quale era salito in precedenza 128 volte, siglando 58 vittorie, 26 pole position, 17 giri veloci e 10 titoli internazionali. Numeri eccezionali di una carriera straordinaria. Ha scelto l’Autodromo Nazionale Monza, perché nel tempio della velocità aveva iniziato a correre nel 2001, al volante di una Porsche nel campionato FIA GT, con l’autorizzazione di Ferrari, visto che già aveva iniziato l’attività di collaudatore.
Di questi dieci titoli, qual è il più importante?
“Rispondo subito: il 2006. Quello è stato l’anno della svolta, dopo tante delusioni, finalmente abbiamo raccolto ciò che meritavamo. Ho iniziato nel 2001 e alla mia prima stagione non sono riuscito a vincere. Poi nel 2003 siamo diventati un team ufficiale, con la Ferrari 360 GTC, e abbiamo perso il campionato FIA GT per un guasto meccanico. Nel 2004 ho iniziato lo sviluppo della Maserati MC12 e ho disputato solo quattro gare e anche in quella stagione non sono riuscito a vincere il titolo. Poi nel 2005, un’annata fantastica: all’ultima corsa in Bahrain era sufficiente arrivare quarti per diventare campioni, ma un altro guasto meccanico ci ha fermato. A quel punto ho iniziato seriamente a pensare che forse ero quel pilota che tutti riconoscono come veloce, ma sfortunato. Per questo il titolo del 2006 ha significato tutto. Mi ha cambiato dentro. Cominciare a vincere aiuta a rifarlo, e lo dico sempre ai ragazzi più giovani che seguo, per i quali sono una sorta di fratello maggiore. Ci si sente più leggeri e la testa compie quel salto che fa la differenza".
Le vittorie che ricorda con più emozione?
“58 sono tante, è difficile scegliere. Posso dire di aver un legame speciale con la 24 Ore di Spa, perché a mio avviso, nel mondo GT, è la gara endurance più dura che ci sia, a livello fisico e mentale. Nel 2006 l’abbiamo vinta al termine di un’accesa sfida: resta uno dei miglior successi della mia carriera. E poi, la 24 Ore sul Circuit de la Sarthe, perché Le Mans è sempre Le Mans. E come dimenticare Monza? Vincere qui è qualche cosa di speciale”.
Quale eredità lascia ai giovani?
“Forse bisogna chiederlo a loro. Quello che posso dire è che sono partito da zero. Mio padre non era nel motorsport, voleva solo tenermi lontano da brutte strade. Ho fatto tutto da solo, passo dopo passo. E poi ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste, al momento giusto. Ma devi essere pronto: l’occasione arriva per tutti, ma se non sei preparato, forse non torna più. Il rapporto umano con chi lavorava con me mi ha aiutato tanto. Puoi avere talento, ma se non ci metti testa e lavoro, non resti a lungo. Io sono orgoglioso di aver deciso da solo quando smettere. Non mi hanno spinto fuori: anzi, quasi mi hanno chiesto di continuare. Ma alla fine ho detto basta io. E questo è un privilegio.”
Il miglior ricordo di tutta questa lunga avventura?
“Un solo ricordo non basta. Certo, le vittorie contano, ma per me sono state soprattutto le relazioni umane a fare la differenza. Le persone con cui ho condiviso emozioni, i momenti vissuti insieme, quelli restano. Una delle emozioni più forti? Il giorno in cui Jean Todt mi chiamò in ufficio per dirmi che avrei fatto i test con la F1. Lo sognavo da bambino... e poi mi sono ritrovato davvero lì”.
Come si riparte dopo un fallimento, una sconfitta?
“In Bahrain, nel 2005, ero sulla tribuna a vedere l'ultima parte di gara ed ero da solo quando la vettura si è fermata. Ho cominciato a pensare e capire. La mia forza è stata resettare. Sempre. Ho una famiglia splendida che mi dà energia. Anche nei giorni difficili, loro mi aiutano. E poi il giorno dopo è un altro giorno: devi solo migliorare ancora, curare i dettagli, e riprovare. Non ho mai sentito la pressione, forse questa è stata la mia forza”.
Cosa le mancherà di più?
“Il confronto con gli altri, la sfida continua. Forse mi inventerò qualcosa con mio figlio, magari faremo gare in discesa con le bici…”.
Ci potrà essere un "nuovo Bertolini"?
“Spero di sì e spero sia meglio di me! Il mio consiglio? Scegliere di circondarsi di persone vere, che ti dicono subito quando sbagli. Se vuoi migliorare, devi saper riconoscere gli errori. Essere veloci non basta. In questo sport c'è memoria lunga per gli errori: fai tre cavolate e sei etichettato. Ci vuole intelligenza. Il pilota è solo la punta dell’iceberg: dietro c’è un team che lavora sodo. Il tuo nome resta se vinci. Devi mettere il tuo nome sull’albo d’oro. Quello è ciò che conta. La generazione nuova ha un talento importante, per me sono ragazzi speciali e posso augurare loro di divertirsi come ci sono riuscito io. Prima delle gare glielo dico sempre: 'Divertiti!'. E sapete benissimo che ci si diverte quando si vince e si va bene, quindi chi vuole capire, capisca".
Il prossimo capitolo?
“Sempre nel motorsport. Non appenderò il casco al chiodo…Continuerò a lavorare allo sviluppo delle auto Ferrari e Maserati, e sarò a Spa, alla prossima 24 Ore, a seguire i miei compagni sulla 52 e gli altri piloti ufficiali della Casa di Maranello. I giovani mi mantengono giovane”.